domenica 15 febbraio 2009

Vita di San Giovanni, arcivescovo di Shangai e San Francisco (VIII)

La morte di un santo

Fra coloro che conoscevano e amavano Vladika, la prima reazione alle notizie della sua morte improvvisa fu: non può essere! E si trattava di qualcosa di più di una semplice reazione alla sorpresa per l’evento, in quanto fra coloro che gli erano vicini si era incontenibilmente sviluppata l’idea che questo pilastro della Chiesa, questo sant’uomo sempre avvicinabile dal suo gregge, non sarebbe mai morto! Non ci sarebbe mai stato un momento in cui qualcuno non avrebbe più potuto rivolgersi a lui per un consiglio o per consolazione! In un certo senso, da un punto di vista spirituale, quest’idea da allora si è dimostrata vera. Ma è anche una delle realtà di questo mondo che ogni uomo che viva deve morire. Vladika era preparato a questa realtà.

Al direttore dell’orfanotrofio dove viveva, che nella primavera del 1966 gli stava parlando di un consiglio diocesano da tenersi da lì a tre anni, aveva detto: «A quel tempo non ci sarò più». Nel maggio 1966, una donna che conosceva Vladika da vent’anni e la cui testimonianza è, secondo il metropolita Filarete, «degna di completa fiducia», fu sorpresa dal sentirlo dire: «Morirò presto, alla fine di giugno, non a San Francisco, ma a Seattle».

Ancora, la notte prima della sua partenza per Seattle, quattro giorni prima di morire, stupì un uomo per il quale aveva appena officiato un moleben, con le parole: «Non bacere un’altra volta la mia mano». E il giorno della sua morte, alla fine della Divina Liturgia che aveva celebrato, spese tre ore in preghiera davanti all’altare, emergendone non molto tempo prima della sua morte, che avvenne il 2 giugno 1966: morì in una stanza dell’edificio parrochiale annesso alla chiesa. Fu udito cadere e dopo essere stato posto su una sedia da quelli che erano accorsi per aiutarlo, diede il suo ultimo respiro pacificamente e con scarso evidente dolore, in presenza dell’icona miracolosa del Segno di Kursk.

Prima della canonizzazione le sue reliquie riposarono in una cappella nei sotterranei della cattedrale di San Francisco (dopo la canonizzazione nel giugno del 1994 esse vennero spostate all’interno della chiesa stessa).

Poco dopo la sua morte, cominciò un nuovo capitolo della storia di questo sant’uomo. Esattamente come san Serafino di Sarov aveva detto ai suoi figli spirituali di considerarlo come vivo dopo la sua morte, visitando la sua tomba e dicendogli ciò che riempiva i loro cuori, così è provato che anche Vladika ascoltò coloro che ne onoravano la memoria. Subito dopo la sua morte, un suo vecchio studente, p. Amvrosy P., ebbe una notte un sogno o una visione: Vladika, vestito con i paramenti pasquali, ricolmo di luce e splendente, incensava la cattedrale e con gioia gli disse una sola parola, mentre lo benediceva: «felice».

Più tardi, prima della fine del periodo dei quaranta giorni, p. Costantine Z., per lungo tempo diacono di Vladika ed ora prete, che in seguito si era adirato con lui e aveva cominciato a dubitare della sua giustizia, vide in un sogno Vladika nella luce, con raggi che splendevano intorno al suo capo così luminosi che era impossibile guardarli. Così i dubbi di p. Costantine sulla sua santità disparvero.

La direttrice della Casa di San Tikhon di Zadonsk e per lungo tempo collaboratrice devota di Vladika, M. A. Shakmatova, vide in sogno una folla di persone trasportare la bara di Vladika nella chiesa di San Tikhon; Vladika tornava in vita e si metteva in piedi davanti alle porte regali, ungendo la gente e dicendo, rivolto a lei: «Dillo alla gente: sebbene io sia morto, tuttavia sono vivo!»

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